Sono tre i presupposti che hanno retto il nostro impegno a favore di un vero processo di riabilitazione delle persone provenienti da esperienze di internamento nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Barcellona P.G. (ME):
Prima di tutto la consapevolezza che il manicomio criminale assomma più che raddoppiandoli il terrore della follia e quello del delitto. Terrore di una diversa articolazione del male nel mondo e dentro di noi che è, probabilmente, all’origine di quel rifiuto, che vorrebbe essere radicale, di qualcosa che oscuramente sappiamo che abita, in quanto uomini, dentro ciascuno di noi e proprio per questo con violenza neghiamo. La follia e il crimine ci offrono uno specchio insopportabile. Questa paura e la conseguente negazione sono all’origine della violenza sociale del manicomio e del carcere. Tuttavia, grazie al coraggioso e diverso pensare di uomini come Basaglia, stiamo comprendendo questa paura dentro noi stessi per trasformarla a poco a poco in pena e solidarietà umana (Ferdinando Scianna*).
La considerazione che, nelle persone di cui ci prendiamo cura, prevale la percezione della disabilità sociale anziché quella della malattia, ci ha spinto ad abbandonare i laboratori protetti, che utilizzano le persone, organizzando per loro tempi e ritmi di lavoro per produzioni inutili o destinate tutt’al più a tristi vendite benefiche. Abbiamo anche superato le “borse lavoro”, sorta di beneficio assistenziale, che, in forme più o meno simili viene erogato da enti pubblici o risulta la finalizzazione, peraltro assai provvisoria, di tanti progetti che utilizzano risorse comunitarie. Dietro la borsa lavoro si nasconde un doppio inganno, sia riguardo alla prospettiva di trasformazione della “borsa” in un reale inserimento lavorativo, sia, riguardo al rischio dell’assenza di condivisione e progettualità. Abbiamo sognato invece un orizzonte dove lavoro e cura-assistenza-aiuto all’emancipazione potessero stare insieme e costituire il nucleo vero di un progetto che coniugasse “lieben und arbeiten” fondamento, secondo Freud, della salute mentale (Gaspare Motta*).
Pensiamo, infine, che la bellezza e gli oggetti sono i fili conduttori della nostra ragion d’essere. Non solo rivendicare il possesso e la relazione con gli oggetti per i folli privati di tutto, ma avere, con loro, come principale oggetto della nostra relazione la libertà di pensare il bello e di trasformare la materia per dargli una forma tangibile. Al vertice della nostra umanità sta la possibilità concreta di andare oltre gli orizzonti del quotidiano e la ripetizione del medesimo. Siamo fieri di partecipare alla creazione di nuove idee e nuove forme, di reinventare e ricombinare a partire da concetti. Per questo siamo liberi. Per questo, ogni giorno, impariamo a migliorare la nostra abilità manuale, applichiamo l’ingegno, condividiamo la fatica e la responsabilità. Per questo non siamo straordinari, né sub-uomini, ci sentiamo uguali a tutti gli altri.
(*) Brani tratti dal volume: Gennaro-Motta-Collodel-Calamuneri, Diritto alla speranza, Pungitopo editrice, Marina di Patti (ME), 2008